Imparare a distanza è un’azione che si è compiuta spesso. Le lettere dei precettori ai loro pupilli, le lettere degli studenti agli amici per riceverne consigli e correzioni.
Ugo Foscolo, sedicenne, scrive all’amico Gaetano Fornasini per farsi correggere alcune poesie. Ettore Majorana segue attraverso le sue lettere la formazione dell’allievo Rolando Pelizza. Seneca scrive a Lucilio perché gli esempi di vita possano essere per lui guida pedagogica.
Come si fa a seguire un allievo da lontano? Come si può seguirne i miglioramenti senza essere lì accanto a lui? Quando utilizziamo un mezzo, un “media”, accade proprio questo: c’è qualcosa fra noi e il nostro allievo, oppure fra noi e il nostro maestro, che impedisce il contatto diretto, il confronto immediato, il dialogo che inizia e finisce un argomento. Quella che adesso denigriamo come “Didattica a distanza” ha in realtà radici molto salde in altri usi e in altri momenti dell’imparare, situazioni diverse che, chissà come mai, prima non ci davano fastidio mentre ora ci sembrano tanto faticose.
Il primo elemento, per esempio nelle lettere per educare, è indispensabile: il maestro deve voler insegnare e l’allievo deve voler imparare. Il desiderio reciproco fa nascere il rapporto che porta ad un sapere in più. Educare comporta una serie di azioni, ma anche uno o più progetti per raggiungere gli obiettivi. C’è un’intenzione in quello che si fa. Il maestro è proprio questo: la persona che sa dove ti sta accompagnando e qual è il sapere che raggiungerai. Il maestro, l’insegnante, è colui che ti fa compiere semplici esercizi perché tu diventi abbastanza forte e sicuro da compiere grandi azioni. Molto famosa è la scena di “Karate Kid” in cui il maestro fa togliere e mettere la cera al suo allievo: ed ecco il secondo elemento indispensabile, nell’apprendimento in presenza e a maggior ragione a distanza. L’allievo si fida del maestro, esegue le sue istruzioni anche se non ne capisce subito la finalità. Se l’allievo non si fida, vuol dire che non è pronto, il maestro (zen) lo caccerà.
Il celebre maestro Manzi, il pedagogista Alberto Manzi, nel 1960 iniziò una serie di trasmissioni televisive che permisero a più di un milione di italiani di prendere la licenza elementare. Ora che ci troviamo nella didattica a distanza dovremmo chiederci come abbia fatto. Era tanto più difficile di quello che cerchiamo di fare con le classi che seguono da casa?
Proviamo un altro approccio e scomodiamo Marshall McLuhan, perché forse il “fastidio” nei confronti della didattica a distanza potrebbe essere spiegato dalla sua interpretazione dei media caldi o freddi: «Un medium caldo permette meno partecipazione di un medium freddo; una conferenza meno di un seminario, un libro meno di un dialogo. Con la stampa molte forme precedenti vennero escluse dalla vita e dall’arte e molte altre acquistarono una nuova intensità. Ma la nostra epoca è piena di casi che confermano il principio secondo il quale la forma calda esclude e la forma fredda include».
Quindi, se nel mio messaggio inserisco già tutto, la mia comunicazione è fredda e non richiede molta interazione. Se invece lascio qualcosa in sospeso, aspetto anche per giorni una risposta, come facevano i maestri antichi con le loro lettere, allora creo un media caldo e coinvolgo di più i miei allievi.
Quello che serve sempre, però, è che l’insegnante abbia intenzione di insegnare qualcosa e che l’allievo sia disposto ad imparare, anche senza conoscere il percorso prima di partire.
Vediamo allora alcuni esempi di “media education”, vale a dire l’educazione all’utilizzo dei media. Libri, telefono, televisione, computer sono i nostri media e dobbiamo addomesticarli, perché siano per noi strumenti e non mostri che ci fagocitano senza che ce ne accorgiamo.
La scrittura in un barattolo. Si tratta del primo esercizio che propongo agli studenti quando cominciamo a scrivere coscientemente, cioè non aspettando che l’ispirazione cali dal cielo, che il testo si componga con la magia e la scrittura automatica, ma assemblando parole e frasi come in un gioco di costruzioni. Il primo passo è leggere qualunque cosa. Per esempio, leggiamo le etichette della marmellata e della Nutella, comprese le frasette pubblicitarie. Poi, per simpatia, cerchiamo su “YouTube” i vecchi sketch di Vittorio Gassman che, anche lui, legge qualunque cosa: “Gassman legge… gli ingredienti dei frollini; il menu; l’etichetta di un capo delicato“. Leggiamo le pubblicità sui giornali, sui cartelloni, sulle fiancate degli autobus. Poi leggiamo i titoli dei giornali, i racconti dei grandi autori. Leggiamo anche le barzellette. Infine, leggiamo tra le righe, anzi impariamo a scrivere guardando i cartoni animati e le serie televisive. Secondo McLuhan, la televisione è un mezzo caldo, ma noi lo facciamo diventare bollente, perché andiamo a cercare i trucchi del mestiere degli sceneggiatori. I cartoni animati giapponesi sono una miniera di informazioni: lo sguardo verso il monte Fuji mentre petali di ciliegio sono portati dal vento ci suggerisce che il protagonista è nel pieno di una sequenza riflessiva; Holly, di “Holly e Benji”, oppure Mimì, di “Mimì e la nazionale di pallavolo”, si fermano in volo e compiono azioni lunghissime, nel rallentamento o nella pausa che azzerano la storia per dare spazio al racconto di pensieri e sentimenti. Un’intera serie televisiva, ma anche un romanzo, sono dedicati al “Flash forward”, l’anticipazione di un evento futuro che cambia le vite dei protagonisti.
Parafrasando una vecchia pubblicità, «toglietemi tutto, ma non i miei media».
Bibliografia
- Calvani A. (2000), Elementi di didattica. Problemi e strategie, Carocci, Roma
- Husserl E. (1891), Filosofia dell’aritmetica
- Masterman L. (1997), A scuola di media, La Scuola, Brescia
- McLuhan M. (1967), Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano