È tutta colpa di Vladimir Propp, che ha insistito per trovare una radice comune ai racconto popolari. Partendo da più di cento storie, ha descritto nella sua “Morfologia della fiaba” il modo in cui i buoni vengono messi in difficoltà, quasi eliminati e poi salvati per un (apparente) lieto fine. E quindi poi è stata anche colpa di Claude Lévi-Strauss e Roland Barthes, che da Propp hanno largamente attinto.
È colpa anche di Italo Calvino, con le sue “Fiabe italiane”. Ma cos’è questa storia che debba vincere sempre il bene? Charles Perrault e poi Wilhelm e Jacob Grimm si guardano bene dal riportare tutti i dettagli macabri delle fiabe popolari, le adattano ai bambini, togliendo i riferimenti alle difficoltà di diventare adulti passando per la pubertà.
Cosa ci vogliano trasmettere le fiabe poco importa, che siano racconti, letteratura, cartoni animati oppure film. Persino una fiaba contemporanea come “La bussola d’oro” di Philip Pullman vorrebbe avere una forte connotazione anti-religiosa, ma a noi, che siamo ancora “fanciullini” alla Pascoli e ci piace stupirci delle cose belle, interessa di più che alla fine sia il bene a sconfiggere il male, attraverso le armi fortissime della paura dell’ignoto e della fiducia per ciò che nel cuore ci dà sicurezza.
Allora possiamo avere dai 3 a 30 anni (mi piacerebbe dire 300, ma porterei tutti in un regno magico e di fantasia, che ora potrebbe essere fuori tema) e leggere storie di coniglietti, principesse o investigatori e quello che ci interessa è sempre e solo che ci sarà sempre qualcosa di cui avere paura, qualcuno in cui riporre la nostra fiducia e, soprattutto, un finale positivo per i protagonisti, cioè per noi.
Pensiamo se, leggendo Cappuccetto Rosso, si sollevasse una protesta a favore del lupo che, poverino, ha pur diritto di mangiarsi chi passa nel bosco. Oppure, nelle storie di principesse, ci fosse un sit-in in difesa della matrigna-strega, che ha diritto anche lei di far scomparire quelli che la mettono a disagio. La forza delle fiabe sta nel fatto che in esse non sono previsti sindacati, né sfumature ambigue. Essere buoni significa trattare bene gli altri, che siano umani, animali oppure oggetti; avere un obiettivo da raggiungere, in cui di solito si salva qualcuno: essere disposti a superare le proprie paure; riportare ordine, bellezza, generosità, bontà.
Uno dei narratori di fiabe più potenti del nostro tempo è Carlos Ruiz Zafòn. Ne parlo al presente, anche se un cancro l’ha portato via il 19 giugno 2020. Lui aveva in sé la musica e le immagini delle sue storie: seguirlo per le vie di Barcellona, nella sua Tetralogia che inizia con “L’ombra del vento”, significa vedere le vie e le case, ascoltare i suoni della città, riconoscere il bene e il male dalla luce e dalla sensazione sulla pelle. Zafòn ha composto alcune suite sul tema dei suoi romanzi e si è trasferito a Los Angeles fin dal 1993 spinto dal suo amore per il cinema.
Ho ripreso i suoi racconti per ragazzi, presentati come Trilogia anche se i personaggi cambiano da “Il principe delle nebbie” a “Il palazzo della mezzanotte” e “Le luci di settembre”. Partiamo dal primo, dove è la nebbia il filo conduttore: nebbia della vista e del cuore, umidità densa che nasconde e permette le trasformazioni, goccioline che possono diventare un mare in tempesta, profondità che rischiano di togliere il fiato e uccidere.
Il personaggio che attraversa la trilogia è il Male. A volte ha nomi che cambiano, ma non servirebbero neppure, se chi lo incontra sapesse subito riconoscere il brivido sulla pelle, il gelo nel petto, la confusione nella mente. Desiderare in modo sconsiderato è molto rischioso, ci dice Zafòn come ce lo ripetono le fiabe. Se qualcuno è subito troppo generoso, poi vorrà in cambio troppo, bisogna pensarci prima.
Il finale è positivo ma non del tutto. Anche superando la paura, si dovrà sacrificare qualcosa, perché il Male è l’altra faccia, quella che non dobbiamo scegliere: ma se ce ne lasciamo lambire, o qualcuno a noi vicino vi ripone fiducia, incautamente, non servirà nascondersi, perché mentre il Bene aspetta e perdona, il Male verrà a prendersi quel che ritiene suo.
Il messaggio è forte e pesante. Non c’è “sindacato dei lupi” che tenga, perché con il Male non si può discutere, sarà mentitore e ingannatore e dobbiamo accorgercene per tempo. Per questo le fiabe esistono ancora, vengono raccontate, inserite nelle antologie scolastiche, studiate, raccontate ancora: ci ricordano che, al di là della nostra democrazia fasulla, ci sono forze ed equilibri con cui ci conviene saper convivere, per non esserne travolti.
Bibliografia
- Afanasjev, A. (1979), Antiche fiabe russe, Einaudi, Torino;
- Benini E., Malombra G. (2008), Le fiabe per affrontare i distacchi della vita, FrancoAngeli, Milano;
- Bruner, J. (1986), La mente a più dimensioni, Laterza, Bari;
- Calvino, I. (1993), Fiabe italiane, Mondadori, Milano;
- De Mari S. (2007), Il drago come realtà: I significati storici e metaforici della letteratura fantastica, Salani;
- MIUR (2019), Legge del 20 agosto 2019 n. 92, Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica, Linee guida;
- Propp, Vl. Ja. (1978), L’epos eroico russo, Newton Compton, Milano;
- Pareyson L. (1986), La filosofia e il problema del male, in Annuario filosofico, 2 pp. 7-69;
- Pareyson L. (1995), Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Torino, Einaudi;
- Zafòn C.R. (1993-2007), edizione italiana 2010, Trilogia della nebbia: Il principe della nebbia, Il palazzo della mezzanotte, Le luci di settembre, Mondadori editore;
- Zafòn C.R. (2002-2016), Tetralogia Il cimitero dei libri dimenticati, Mondadori editore.