Penelope è il personaggio perfetto, che crea nuove soluzioni per ogni problema che le si ponga davanti. Il suo telo funebre per l’anziano suocero Laerte viene tessuto e disfatto per tre anni, pur di raggiungere lo scopo: ritardare le nozze con uno dei Proci, aspettare il ritorno del re legittimo, e sposo, Ulisse.
Non doveva essere per forza un gesto di amore coniugale, così come le azioni pedagogiche non sono segno di un innamoramento nei confronti degli studenti. Penelope è una “professionista”: è la moglie del re, sa sono quali sono i suoi diritti e anche i suoi doveri, non sarà il solo sentimento a vincolare il suo comportamento. Raggiungerà tutti gli obiettivi, adattandosi nelle difficoltà, verificando nel dubbio, interrogando là dove serve.
Mi sembra la patrona ideale per la ricerca-azione, l’approccio pedagogico ideato da Kurt Lewin negli anni Quaranta, per coinvolgere le minoranze americane nell’azione di ricerca. L’approccio pianificato inizialmente viene monitorato e, se occorre, rivisto. Si disegna il progetto, si comincia a tessere la tela, ma la situazione contingente richiede un tipo diverso di azione: così si disfa e si rifà, finché l’obiettivo non è raggiunto.
Era una prima media. Nel programma di lettere, era previsto imparare a scrivere il riassunto di un testo narrativo. Che ci vuole, direte voi?
I ragazzi erano agitati, alcuni anche demotivati, privi di metodo di studio. Faticavano a rispettare le consegne, perché non ascoltavano. Non si riusciva a leggere la loro grafia, perché non volevano farsi capire.
Così abbiamo cominciato a camminare insieme, due passi avanti e uno indietro, cercando di conservare fissa l’immagine della meta da raggiungere, ma con tutta l’elasticità necessaria.
I passaggi della ricerca-azione possono essere ridotti a tre: pianificare, agire e poi osservare e riflettere.
La meta finale del riassunto, una competenza richiesta per i tre anni della secondaria di primo grado e anche tra le prove d’esame, è diventata la strada per imparare a studiare. Non solo, è diventata anche la scusa per imparare a lavorare insieme.
La tecnica del riassunto è stata divisa nei suoi passaggi più semplici: lettura, ricerca delle parole chiave, divisione in sezioni, titolazione, riscrittura. Abbiamo aggiunto il raccontare, seguendo la titolazione come una scaletta: ad alta voce, è diventato un metodo di studio; scritto, ci ha aperto la strada del testo espositivo e del riconoscimento delle fonti.
Poi abbiamo applicato lo stesso metodo a contesti diversi: l’analisi e la sintesi di un testo narrativo, l’analisi e lo studio di un testo non narrativo (es. in geografia), l’utilizzo di elementi nuovi studiati in grammatica (es. i connettivi logici).
C’è una parola che va di moda: lo storytelling. Noi abbiamo imparato a raccontare, a ricordare e raccontare, a leggere e raccontare. Per farlo, però, siamo tornati molte volte sui nostri passi: per migliorare l’attenzione e la grafia, ci siamo fermati per un mese sul dettato, scritto al meglio delle nostre possibilità. Poi abbiamo ripreso il cammino, ma ci siamo fermati un’altra volta, perché non riuscivamo a mettere in ordine gli eventi: così abbiamo anche imparato a realizzare una linea del tempo. Alla fine sembrava tutto a posto, ma non avevamo tanta voglia di seguire i passaggi: così, ancora una volta, ci siamo fermati per capire a cosa potesse servire una scaletta, quante parole dovesse contenere il nostro titoletto per essere davvero utile.
Alla fine abbiamo studiato solo il riassunto, ma siamo diventati capaci di analizzare, organizzare, scrivere in modo leggibile, lavorare con i compagni (in gruppi di 4 organizzati) e, soprattutto, a raccontare bene. Con amore.
Bibliografia
- Baldacci M., La ricerca-azione come ricerca educativa di base;
- Pourtois J.P. (1984), La ricerca-azione in pedagogia, in E. Becchi, B. Vertecchi (a cura di), Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Milano, Franco Angeli, 1984;
- Meirieu P. (2015). Peut-on susciter le désir d’apprendre?, in Sciences humaines, N°268, mars 2015, p. 40;
- Wood D., Bruner J. S., Ross G. (1976), The role of tutoring in problem solving, in Journal of Child Psychology and Psychiatry, volume 17, da pp. 89 a 100, Pergamon Press.