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La lezione di Dr House: cinismo o verità?

3 Agosto 2022 | letture

Ho lasciato trascorrere troppo tempo, scrivendo ma non qui. Intanto però ho ricominciato dalla prima puntata e dalla prima stagione “Dr House. Medical division”. Il bello delle serie televisive, come delle saghe o delle collane di romanzi, è che puoi rileggerli seguendo diverse sotto trame, leggendo fra le righe.

Ormai la serie con Hugh Laurie nei panni del “geniale diagnosta”, come viene descritto su Wikipedia, quasi fosse l’epiteto di un eroe del mito, è finita, non ci sono più nuove stagioni da attendere, i danni che potevano esserci sono stati fatti. Le ere geologiche di una serie tv si misurano in stagioni e le stagioni nel susseguirsi degli sceneggiatori.

Metto anche le serie tv fra le letture, perché lo sviluppo narrativo è molto interessante, i personaggi hanno caratteristiche solide e ben riconoscibili, come e più di un romanzo. Diciamo che questo tipo di televisione è la lettura con un senso in più.

Trovo estremamente interessante il personaggio principale, il dottor Gregory House, ma ancor più il suo interprete. Hugh Laurie è genio e sregolatezza, talento multiforme, tanto espressivo che spesso mi chiedo se quel personaggio avrebbe potuto essere interpretato da un altro che non fosse comico, musicista, sportivo e molto altro. Un Ulisse dei tempi moderni che, pur vivendo quasi nel suo ospedale, non è mai veramente a casa, non ha una famiglia, spezza, inganna, infrange le regole.

D’altra parte però salva gli amici, scopre le verità, guarisce le persone. Spesso è l’indagine ad interessarlo, non i pazienti. Non li incontra se non in casi eccezionali, ma quando ciò accade si fa coinvolgere, legge nel loro profondo e svela ciò che non vorrebbero sapere.

Come i guaritori popolari, gli antichi erboristi della tradizione di campagna e di montagna, Dr House non si avvicina ai malati per non farsi travolgere dalle loro storie. Sembra cinico e distaccato, finché sta nel suo studio con le porte trasparenti, di vetro come la torre o la campana che protegge la principessa o la rosa del Piccolo Principe. Ha pochi amici, di cui sfrutta le debolezze e che lo proteggono finché possono. I suoi collaboratori accettano di essere tiranneggiati, umiliati, presi in giro pur di stargli vicino e imparare.

Si tratta quindi di un personaggio cattivo? Malato, non tanto per la gamba quanto per i suoi comportamenti fuori dal “rispetto umano”? Buono perché cerca di mettere ordine nella vita degli altri, ma non nella propria?

Nel prolungarsi della narrazione, la parte medica sembra venir meno. Non è tanto lo sciopero degli sceneggiatori, che nel 2007 ha minato la continuità di molte trame, quanto piuttosto il sovrapporsi di tante idee, forse troppe, che cercano di mettere al centro anche altri personaggi. Escono così dalle sotto trame la direttrice dell’ospedale Cuddy, l’oncologo Wilson, l’ex collaboratore e poi rivale Wilson, i collaboratori Chase e Cameron, poi Tredici e Taub. A tratti si esce anche dai locali dell’ospedale o dalle case, si vede il paesaggio, che non per forza deve essere specchio dello stato d’animo.

Come avviene nelle storie molto lunghe, quando si esce dalla bolla in cui vive il protagonista, si cambia prospettiva e lui non è più al centro, vengono meno anche i cliché narrativi, che tanto tranquillizzano il lettore-spettatore. L’equilibrio traballa: o si spezza qualcosa nella continuità della narrazione, o si cristallizzano ripetizioni (che non sono cliché), oppure si trova la via giusta e si procede all’infinito, finché i personaggi non muoiono o scompaiono dalla serie.

Dr House drogato lascia il posto a quello innamorato, poi a quello dispettoso, finché non esprime i suoi sentimenti e la gelosia diventa dannosa per gli altri. Forse, se avessimo seguito Ulisse con più attenzione avremmo scoperto molto anche di lui. Per House, bisogna cambiare chiave di lettura: l’unica costante è la ricerca della verità, che rivela ad alta voce contro ogni convenzione sociale. Ma la verità è così, cinica e dolorante. Questa è l’ultima lezione del Dr House.

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