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Elenchi e serpenti

15 Maggio 2021 | letture

Se c’è una cosa che mi rilassa è vedere le trasmissioni in tv in cui sistemano, colorano, costruiscono, riordinano le case.
Prima si guarda, si progetta, poi si distrugge per ricostruire, in modo nuovo e secondo un’idea.
Così seguo volentieri anche i metodi per riordinare le idee. Mi piacciono soprattutto quelli che vengono raccontati nei libri, perché la parte più bella, nei libri, è che li si può chiudere ed abbandonare, senza che si offendano.

Cominciamo dal primo: Rachel Wilkerson Miller spiega “Il metodo agenda a punti”.
Subito ho visualizzato le pagine puntinate, quelle che tanto vanno di moda, più comode del foglio tutto bianco, più pratiche del cartoncino con le righe che si usava una volta per scrivere dritto.
Poi ho realizzato che è un modo per segnare in agenda elenchi di cose da fare, organizzando le giornate per priorità.

Un altro che mi affascina, e leggo poco per volta, è “Il metodo bullet journal” di Ryder Carroll.
Gli sono particolarmente affezionata, innanzitutto per il cognome, che richiama quello dell’inventore di “Alice nel Paese delle meraviglie”.
Poi perché ha rivelato di aver iniziato questa sorta di diario libero ed organizzato per far fronte al suo problema, un deficit di attenzione e di iperattività (diremmo che è un ADHD): questo me lo rende particolarmente caro, perché sembra comprendere le distrazioni e le mille incombenze che affollano certe giornate:
Attorno alla sua idea, prima ancora che il libro fosse tradotto in italiano, si sono moltiplicati esponenzialmente imitatori, seguaci, sviluppatori del “bujo”, come viene affettuosamente abbreviato.
Lo usiamo anche a scuola, per svuotare la mente, preparare gli obiettivi, ritagliarci le pause, insomma per ridurre l’ansia da prestazione.

Ci sono poi i francesi, gli scrittori del cuore: prima di tutti Georges Perec, che con la sua fissa per elenchi, enumerazioni, giochi enigmistici ha dato vita a diversi capolavori, tra cui “La vita: istruzioni per l’uso”. Seguendo un immaginario percorso a “salto del cavallo”, fa visitare le cento stanze e disimpegni di un condominio, in cui si alternano scene reali e immaginarie, liste di libri e di ricordi. Quello che più mi ha colpito è il tratteggio dei famosi pranzi della signora Moreau che, una volta al mese per dieci anni, aveva offerto un pranzo in cui il filo conduttore era un solo colore, dalle stoviglie ai vini, dal giallo, relativamente facile, al nero, davvero complesso da realizzare.
Appassionato anch’egli di elenchi e giochi, Jacques Prévert ha incantato con la sua raccolta di poesie “Paroles”, pura arte giocosa, che ha trovato interpreti nelle voci di Yves Montand, Serge Gainsbourg o Juliette Greco.

Vivevo tranquilla in un mondo di liste e di elenchi, da stilare, spuntare e rimandare, quando ho scoperto un altro mondo, disegnato in tutt’altro modo: non più liste, ma rami e serpenti.
Sono le mappe mentali di Tony Buzan.
Parti dal centro, una parola o un disegno, e lasci diramare altri concetti, altre parole, altre immagini.
La versione più bella, ma anche perché c’è una sovrascrittura narrativa, è “Le français vu du ciel” (Il francese visto dall’alto) di Marion Charreau. Qui le mappe mentali diventano un viaggio nei paesaggi della lingua francese, tra verbi e aggettivi, spuntano sentieri, isole, monti e nuvolette, con tanti disegni che riempiono le pagine grandi e colorate.

A questo punto non so cosa sia meglio, se le liste o i disegni ramificati.

Intanto, nelle sue molte evoluzioni, il bujo ha incontrato lo scrapbooking e i tracker, cioè le decorazioni e applicazioni da un lato e, dall’altro, il monitoraggio con tabelle anche molto creative.
Lo interpreto come un vuota tasche per i momenti tranquilli, anche se per ora resto fedele al mio stile minimale e continuo ad ammirare chi costruisce architetture di colori davvero ammirevoli.

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